I lunghi viaggi di nozze tra Libia e Italia

Il 21 luglio 2005 l’associazione Meltingpot scrisse: “sorgerà a Gharyan, nei pressi di Tripoli (in Libia) il primo Centro di permanenza temporanea realizzato dall’Italia fuori dal territorio nazionale per contrastare l’immigrazione clandestina.” Le espulsioni coatte degli ultimi giorni probabilmente fanno intendere che l’Italia respingerà i clandestini in Libia e quest’ultima li accoglierà grazie ad un accordo con il Governo Italiano ed ai suoi finanziamenti. Saranno rinchiusi nelle strutture di detenzione sovvenzionate dall’Italia senza rincorrere a sanzioni dall’Ue o critiche dalle associazioni umanitarie. Non avendo più “il problema” immigrazione sotto gli occhi dei riflettori sarà più semplice gestire gli immigrati nelle strutture di detenzioni libiche. Una piccola colonia italiana per “accogliere” gli immigrati.
L’associazione spiegò che è stata proprio la corte dei conti a dare questa notizia attraverso la “Relazione sul rendiconto generale dello Stato del 2004” altrimenti nessuno ne avrebbe saputo niente.
La parlamentare Tana De Zulueta dichiarò, nello stesso anno: “Con certezza sappiamo che l’Italia ha sinora finanziato almeno 47 voli charter dalla Libia verso paesi - come il Sudan, l’Etiopia e la Siria - nei quali vige ancora la pena di morte. E in quei paesi sono state già deportate seimila persone. Al momento le uniche notizie di cui disponiamo riguardano il rapporto degli esperti della commissione europea risalente al novembre-dicembre dello scorso anno: un rapporto che criticava fortemente la linea degli accordi bilaterali Italia-Libia indifferenti a qualsiasi direttiva europea”. Spiegò in quell’intervista che “tra gli strumenti di contrasto all’immigrazione clandestina” c’è la realizzazione nel territorio libico di centri di permanenza temporanea, «al fine di evitare le partenze dei clandestini verso l’Italia».

Un anno più tardi, il 13 settembre del 2006, Pacereporter intitolò un suo articolo: “Italia-Libia, l’asse della vergogna” dove riprendeva un rapporto di Human Rights Watch (organizzazione con sede a New York) del 2006 sugli abusi dei migranti che subiscono ogni giorno dalle autorità libiche. In quel rapporto si spiegò che le autorità italiane avevano rispedito da Lampedusa in Libia almeno 2.800 migranti senza dare loro la possibilità di richiedere asilo politico, come previsto dalla Convenzione Onu per i Rifugiati del 1951, lasciandoli ad uno stato che della convenzione non è neanche firmatario.
Perché in Libia? Semplicemente perché la costruzione dei CPT di cui abbiamo parlato è un progetto studiato a tavolino per rendere meno crudele il lavoro italiano. Poi, nel nostro paese, ci sono troppe pressioni. Se i migranti vengono fermati in un paese dove non esiste la convenzione di Ginevra del 1951 , nessuno può dire nulla. La Libia è diventata, forse attraverso finanziamenti, lo sbirro dell’Europa sulle coste mediterranee accollandosi un lavoro che potrebbe crear problemi alla reputazione di un governo europeo.

Human Rights Watch ha raccolto nel 2006 numerose testimonianze di immigrati che denunciarono maltrattamenti da parte delle autorità libiche. Pacereporter riassumendo quel rapporto parlò di “tortura alle detenzioni illegali, a cui le vittime possono sottrarsi solo dietro pagamento di una congrua mazzetta, fino agli abusi sessuali nei confronti delle donne. A ciò vanno aggiunti il cronico sovraffollamento e le condizioni igieniche, definite terribili anche dal prefetto Mario Mori, recatosi lo scorso febbraio nel centro di accoglienza libico di Seba in qualità di direttore del Sisde. Pratiche di cui, con la sua politica, l’Italia si è resa complice”.
Le accuse di Human Rights Watch non erano isolate. Anche tre anni fa ci fu l’intervento dell’Alto Commissariato delle nazioni unite per i Rifugiati in un comunicato stampa denunciando la politica quantomeno sbrigativa delle autorità italiane, che il giorno precedente avevano imbarcato 180 clandestini su due aerei diretti in Libia. “Le espulsioni collettive di migranti dall’Italia alla Libia costituiscono una violazione del principio di non refoulement. Le autorità italiane non hanno rispettato i loro obblighi internazionali” tuonava l’Onu, mentre il parlamento europeo adottò una risoluzione di condanna contro le deportazioni collettive italiane in Libia.

Nel maggio del 2008 il ministero degli Interni di Tripoli fece sapere di non voler più collaborare nella protezione delle coste italiane dall’ondata di immigrati illegali dall'Africa, “questo perché Roma e altri paesi dell'Unione europea non hanno messo in atto l'appoggio promesso”.
Affermò che “La Libia è impegnata negli sforzi per respingere l'afflusso di immigrati illegali verso l'Italia, esaurendo le sue risorse materiali e spendendo una grande quantità di denaro per proteggere le coste italiane dall'ondata di immigrati clandestini. Adesso la Libia non sarà più responsabile della protezione delle coste italiane dagli immigrati illegali, poiché la parte italiana non ha rispettato l'impegno nel dare appoggio alla Libia”. Addirittura su repubblica i libici dissero che “ci attendiamo un incremento quest'estate nel numero degli arrivi in Italia, via Libia, di immigrati clandestini provenienti dai paesi sub-sahariani, un fenomeno consueto in questo periodo dell'anno a causa delle migliori condizioni atmosferiche e del mare in genere più calmo”.Perché oggi invece sono pronti e contenti di accogliere i migranti nella loro terra?
Per arrivare alla soluzione dobbiamo tirare in ballo un accordo di amicizia e cooperazione tra Berlusconi e Gheddafi. Si parla di un sostegno di cinque miliardi di euro al governo libico per chiudere il contenzioso storico tra l’Italia e l’ex-colonia africana per 25 anni. ''L'accordo prevede lo stanziamento di 200 milioni di dollari all'anno per i prossimi 25 anni sotto forma di investimenti in progetti di infrastrutture in Libia”, ha confermato il premier. Sono previste anche la costruzione di abitazioni, la creazione di borse di studio per permettere a studenti libici di studiare in Italia e di pensioni per i mutilati vittime di mine anti-uomo piazzate dall’Italia durante il periodo coloniale.
Tra gli obiettivi principali di due governi nazionalisti c’è l’accordo stipulato per la lotta all’immigrazione irregolare. Nell’elenco della spesa del dittatore Gheddafi ci sono anche gli immigrati, forse per migliorare quei fatiscenti campi di detenzione libici.

Marco Revelli nel suo libro – inchiesta sui CPT scriveva: ”Alì sa di essere stato fortunato. Ma sa anche che la fortuna non può abbandonarlo adesso. Ne ha ancora bisogno. E ce ne vorrà molta. Anzitutto per scampare alla Libia. Al paese che l'Italia ha scelto come guardiaspalle per fermare l'orda dei migranti. Che riempie i suoi campi di neri, li tiene lì senza una scadenza, e poi li manda a morire nel deserto (...) Nel pomeriggio le guardie chiamano dei reclusi, dicono un nome e questo deve farsi avanti e mettersi in fila. Poi la fila si incammina verso la pista a lato del campo, dove c'è un aereo pronto. Ai polsi hanno manette di plastica. Alì sa che questo significa che li portano in Libia. Le manette serviranno a impedire rivolte quando sapranno di non andare a Crotone né a Bari.”

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