Gli esponenti più radicali della maggioranza di destra alla Knesset ora fanno a gara nel presentare proposte per «cacciar via e subito» gli africani, almeno 50.000 e senza permesso
Sharon Rotbard e Muki Tsur qualche anno fa, nei loro libri, avevano provato a spiegare come la «città bianca», Tel Aviv, fosse diventata anche una «città nera», popolata nella sua periferia, nei suoi sobborghi, di decine di migliaia di migranti: in maggioranza di pelle scura, giunti dal Sudan, dall'Etiopia dall'Eritrea, ma anche asiatici.
In qualche modo avevano cercato di avvertire che questa crescente presenza di africani abbandonati a se stessi in rioni poverissimi della «città che non dorme mai» e «regno del divertimento», avrebbe portato a un'esplosione. Governo e comune di Tel Aviv non hanno ascoltato, o più probabilmente hanno scelto di non vedere e sapere. Inevitabile lo scontro tra poveri, tra israeliani che vivono in condizioni di estrema precarietà e chi arriva nel paese, quasi sempre illegamente, credendo di trovare in Israele un lavoro per sostenere la famiglia rimasta in Africa o soltanto per sfuggire alla guerra nel suo paese e chiede asilo.
Haim Mula, un abitante del quartiere di Shapira, più povero persino di alcune aree della vicina Giaffa, popolate da palestinesi, è stato incriminato per aver lanciato sette bombe molotov contro altrettanti appartamenti abitati da migranti: 10-15 persone in un paio di stanze. Sono i più fortunati a vivere in queste abitazioni perché tutti gli altri trovano riparo dove possono o dormono per strada, tra il parco davanti alla stazione degli autobus di Via Levinsky e Derech Kibbutz Galuyot. Non sorprende che Haim Mula sia considerato un eroe a Shapira e qualcuno lo ha imitato lanciando una bottiglia incendiaria contro un asilo frequentato da bambini africani.
Per la sua gente ha solo fatto quello che «dovrebbero fare tanti altri» per avviare l'espulsione dei migranti che il governo Netanyahu stenta a far partire. La tensione è altissima nel quartiere. Si levano ogni giorno voci contro la presenza dei migranti, la convivenza è una parola sconosciuta da queste parti e il fuoco si è trasformato in un incendio quando i media hanno riferito che tre giovani eritrei erano stati arrestati perché sospettati di aver stuprato una ragazzina di 15 anni. L'esame del dna ha scagionato i tre africani ma non è servito a mutare il clima che si respira a Shapira. «Tanti abitanti di Shapira sono razzisti, accusano i migranti di tutto, dall'aumento della criminalità agli abusi sessuali. Sbagliano ma è ingiusto riversare solo di su loro la responsabilità della situazione nel quartiere», spiega Ronnie Barkan, un attivista di Tel Aviv impegnato a sostegno dei diritti palestinesi e per la giustizia sociale in Israele. «A Shapira le condizioni di vita sono terribili - aggiunge Barkan - gran parte delle famiglie è poverissima, costretta a lottare ogni giorno per sopravvivere. Persone che ora vedono il loro quartiere invaso da africani che non hanno nulla, che sono costretti a fare i bisogni in strada. Pensano che gli africani siano colpevoli di tutto e non comprendono che la responsabilità è di chi in Israele ha abbandonato Shapira e i migranti al loro destino».
Sottoproletariati israeliani contro africani privi di tutto che sognano l'occasione per costruirsi un futuro migliore. Lasciati insieme in una sorta di discarica sociale, a combattersi tra di loro. Lo pensa anche il deputato Dov Henin (Hadash, sinistra). «Gli abitanti di Shapira dicono e fanno cose inaccettabili ma non sono dei carnefici, anche loro sono delle vittime», dice Henin «il governo e il comune di Tel Aviv per troppo tempo hanno chiuso gli occhi davanti alla realtà e pensano di sfruttare a scopo politico la rabbia di questi cittadini israeliani». Lo hanno capito le associazioni di sostegno ai profughi africani che si sono mobilitate per denunciare la gravità della situazione. «La responsabilità politica degli attacchi ai migranti - afferma Reut Michaeli, presidentessa del Centro di aiuto ai lavoratori stranieri - va addossata al premier Netanyahu e al ministro degli interni Eli Yishai che hanno fatto tutto il possibile per sobillare e per alimentare l'odio», nei confronti di quanti sono giunti dall'Africa.
Gruppi di estrema destra si sono distinti nel creare nel rione un'atmosfera ostile nei confronti dei migranti. Gli esponenti più radicali della maggioranza di destra alla Knesset ora fanno a gara nel presentare proposte per «cacciare via e subito» gli africani, almeno 50mila e senza permesso. Il più attivo è il deputato Danny Danon del Likud che, come spiega sul suo sito, ha elaborato un piano per espellere l'80% dei migranti nel giro di due anni. D'altronde lo stesso premier Netanyahu ripete da tempo che i «clandestini» sono una minaccia concreta allo stesso carattere ebraico di Israele. Nel novembre 2010, il governo israeliano ha deciso di costruire un centro di detenzione che può contenere migliaia di migranti nel Negev e sta completando un muro di 250 km lungo il confine con l'Egitto.
da "il Manifesto", Michele Giorgio
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