Commissioni e Audizioni

COMMISSIONE NAZIONALE:

Presidente Effettivo: Prefetto Dr. Angelo Malandrino
Supplente: Prefetto Dr. Pietro Lisi
Componenti Presidenza del Consiglio dei Ministri - Effettivo – Dirigente di seconda fascia D.ssa Letizia Di Martino
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Supplente - Direttore Amministrativo Dr. Ernesto Puteri
Ministero degli Affari Esteri - Effettivo - Consigliere d’Ambasciata Dr.ssa Fiammetta Milesi Ferretti
Ministero degli Affari Esteri - Supplente - Consigliere di legazione Dr. Marco Matacotta
Ministero dell’Interno - Effettivo - Dip. Libertà Civili e Immigrazione - Viceprefetto Dr. Mauro Denozza
Ministero dell’Interno - Supplente - Dip. Libertà Civili e Immigrazione - Viceprefetto Dr. Maurizio Guaitoli
Ministero dell’Interno - Dipartimento della P.S. - Effettivo - Dirigente Superiore Dr. Roberto ScottoMinistero dell’Interno - Dipartimento della P.S. - Supplente - Primo Dirigente Dr. Filiberto Rossi
Unhcr - D.ssa Helena Behr
Commissione nazionale per il diritto di asilo c/o Caserma S. MarcelloVia SS. Apostoli, 1600187 Roma Tel: 06/69767692

Nessuno ci parla mai di chi è competente nel ruolo di esaminare le domande di asilo e quali sono i requisiti per entrare a far parte della commissione che giudica la richiesta di uno status di rifugiato e determina il futuro di ogni singola persona che arriva nel territorio italiano con un bagaglio di speranza enorme.Chi sceglie la commissione e quali sono i criteri per espellere un immigrato?

Sappiamo che viene creata ad hoc una commissione appositamente per questo settore e che ultimamente sta anche subendo dei tagli economici che si ripercuotono sugli immigrati che aspettano con ansia, privi di libertà fondamentali, il verdetto finale.

La Commissione Nazionale, organo unico con sede a Roma, prima che entrasse in vigore la Bossi – Fini, era competente per esamina la domanda d’asilo per il riconoscimento dello status di rifugiato. E’ stata istituita dal Decreto n.136 del 15 maggio 1990, in attuazione di quanto previsto dall’art.1 della legge n. 39/1990 (Legge Martelli).

In seguito, la legge 189/2002, la cosiddetta legge Bossi-Fini, ha apportato sostanziali modifiche alla precedente normativa. Questa nuova normativa è stata completata con l’entrata in vigore del regolamento di attuazione (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 22 dicembre 2004) che disciplina le varie fasi della procedura, il funzionamento dei Centri di identificazione (CPT), le funzioni della Commissione nazionale per il diritto di asilo e delle Commissioni territoriali. La Legge Bossi-Fini non solo ha portato a disposizioni più restrittive sulla presenza di stranieri in Italia, ma ha anche modificato le procedure di asilo per privilegiare il controllo delle frontiere piuttosto che la protezione dei richiedenti asilo.

La Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato con la legge 189/2002 è stata trasformata in “Commissione nazionale per il diritto di asilo”.

Ha il compito di monitorare e gestire le 10 commissioni territoriali (Gorizia, Milano, Roma, Foggia, Siracusa, Crotone, Trapani Torino, Bari e Caserta), di fissare criteri organizzativi e garantire uniformità di orientamento. I membri della Commissione Nazionale sono nominati con decreto del presidente del Consiglio, su proposta dei ministri dell’Interno e degli Affari Esteri. In poche parole a seconda del programma politico di un governo si decide la sorte per molti migranti senza mai esserci uniformità di anno in anno.

Il decreto del 28 gennaio 2008 n° 25 ha conservato le Commissioni Territoriali, ora denominate “Commissioni Territoriali per il Riconoscimento della Protezione Internazionale”. Le Commissioni esaminano le istanze di riconoscimento dello status di rifugiato presentate nelle circoscrizioni territoriali. Questi nuovi organi, come la commissione Nazionale, sono presiedute da un funzionario e composte da un dirigente della polizia di stato e da un rappresentante dell’ente territoriale. Le uniche persone che, oltre ai commissari e al richiedente asilo, possono essere presenti sono l’interprete e il rappresentante dell’ACNUR (alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati), salvo il caso di richiedenti asilo minori che devono essere accompagnati dal tutore o una persona da lui delegata.

Compito delle Commissioni Territoriali per il Riconoscimento della Protezione Internazionale è di esaminare nel merito tutte le istanze di asilo presentate, ascoltando la testimonianza diretta del richiedente asilo in tutti i casi in cui questi ne faccia esplicita richiesta. Le audizioni non sono pubbliche e il richiedente asilo non ha diritto a essere assistito neanche da un legale.



Le audizioni davanti alle commissioni territoriali.

Le audizioni svolte davanti alle commissioni territoriali per la richiesta dello status da rifugiato, vengono effettuate attraverso un interrogatorio al migrante ed alcuni passaggi burocratici che rallentano notevolmente il rilascio del documento di permanenza. Tutto a discapito del migrante che in questo periodo si troverà in una sorta di sospensione della vita. Il richiedente asilo non può lavorare nei primi sei mesi di ingresso in Italia. Al secondo rinnovo ha diritto a un permesso per 6 mesi che rechi la dicitura esplicita che si tratta di permesso che consente l’attività lavorativa. Il rifugiato e il beneficiario di protezione umanitaria possono lavorare, possono iscriversi alle liste di collocamento e fare corsi di formazione.

Molto spesso si registrano lunghissime attese prima dell’audizione. Alcune persone hanno aspettato moltissimo tempo, più del previsto secondo alcuni dati raccolti dal consorzio italiano per la solidarietà (ICS) nel 2003. A Lodi si è verificato un caso di una persona che ha aspettato 3 anni prima di poter essere ricevuto dalla commissione territoriale, ad Arezzo 2 anni e 6 mesi, a Bergamo 2 anni e 5 mesi. Questa macchina burocratica evidentemente registra delle crepe che non si vogliono aggiustare perché conviene, ai più xenofobi, scoraggiare il richiedente asilo.

Anche i criteri in base ai quali viene deciso il calendario delle convocazioni non risultano chiari. Cisono persone che aspettano anni e altre che dopo pochi mesi dalla presentazione della domandavengono chiamate. Ma l’attesa non finisce al momento dell’audizione, anzi, continua ancora, nonostante la decisione venga assunta lo stesso giorno del colloquio, spesso passano mesi prima che questa venga notificata all’interessato.

Durante l’audizione il richiedente ha diritto a esprimersi nella propria lingua e, ove questa non sia conosciuta da almeno un membro della Commissione, ha diritto a esprimersi in lingua francese o inglese o spagnola. Nel caso in cui non conosca le predette lingue e, comunque, all’occorrenza la Commissione nomina un interprete. L’audizione non è obbligatoria, ma il richiedente ha l’obbligo di presentarsi se convocato. La Commissione territoriale può decidere anche senza intervistare la persona, qualora ritenga di avere elementi sufficienti per concedere la protezione internazionale. La Commissione comunica alla Questura la data dell’audizione e questa poi provvederà a comunicarla al richiedente presso il centro dove è trattenuto.

Un altro aspetto critico riguarda il numero di commissari presenti all’audizione. Capita che il richiedente asilo nel momento dell’audizione viene ascoltato da una unica persona. Si può ben capire che questa prassi impedisce il mantenimento di una linea di condotta omogenea nella decisione finale e soprattutto non tutela a sufficienza il richiedente asilo dal rischio inevitabile di valutazioni puramente soggettive. Infine, il simultaneo svolgimento di più audizioni spesso impedisce al rappresentante dell’ACNUR di essere presente.

So benissimo che non sto dicendo nulla di nuovo in quanto queste attese interminabili e queste realtà desolanti è una parte dell’Italia intera malata che convive con questo cancro al cuore da moltissimi anni ormai. Organizzazione, inadeguatezza e poca professionalità si vede spesso nel nostro paese, ma qui credo che sia ancora più evidente per l’emarginazione, la discriminazione e la poca considerazione che i migranti tengono. Mi viene da pensare che queste prassi siano create ad hoc per scoraggiare il richiedente asilo e di mettergli pressione affinché si allontani dal paese autonomamente.

Una volta passati questi intoppi burocratici e queste immense fatiche, si incontrano altri problemi anche nel momento delle audizioni. L’amarezza aumenta se si pensa alla sproporzione tra la lunga attesa per la convocazione (anche più di 2 anni) e la durata dell’audizione stessa. La quasi totalità dei richiedenti asilo intervistati dal consorzio italiano per la solidarietà denuncia una generale insoddisfazione per la superficialità del colloquio. Il poco tempo a disposizione, in media 15 - 20 minuti (ma ci sono casi in cui è durata anche 5 minuti), non permette di raccontare in modo esaustivo e sufficientemente dettagliato la propria storia.

E’ ovvio pensare che in così pochi minuti sia impossibile per il richiedente asilo far emergere quanto vorrebbe e per i commissari raccogliere informazioni complete e approfondite. Il richiedente, che fugge da una situazione di violenza e persecuzione, si trova a dover raccontare la sua storia personale in poco tempo e di fronte a una persona in divisa e ciò condiziona fortemente la narrazione.

Oltretutto sono molti i casi in cui viene denunciata l’assenza di un traduttore. In altri casi, l’insoddisfazione relativa al servizio di traduzione ha portato il richiedente asilo a continuare il colloquio in italiano, con tutte le difficoltà del caso. Non sono mancati i casi in cui al richiedente asilo sono state poste domande del tutto inappropriate, come a esempio: Chi ti ha scritto questa storia? Puoi scrivere l’inizio della tua storia così controlliamo se la calligrafia è la stessa? Hai avuto contatti con organizzazioni politiche da quando sei arrivato in Italia?

Al termine dell’audizione, la Commissione Territoriale decide la concessione o il diniego dello status di rifugiato. Nel caso in cui l’istanza di asilo abbia esito negativo, il respingimento della domanda deve essere motivata. In molti casi il paese di provenienza è ritenuto un paese “sicuro”, democratico, in cui il richiedente asilo non sarebbe a rischio nel caso vi tornasse.

In altre circostanze, pur essendo stata provata l’effettiva pericolosità del paese di provenienza, la Commissione ha sostenuto però che la persecuzione perpetrata non fosse stata individuale, mageneralizzata: ”Atteso che espone la situazione di insicurezza che si registra in alcune zone del suo Paese interessate da episodi di guerriglia (…) considerato che tale condizione oggettiva, a carattere generalizzato, non rileva, ai sensi della Convenzione di Ginevra del 28/07/1951, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, non potendosi individuare motivi di persecuzioneriferibili in via diretta e personale secondo la nozione contenuta nell’art. 1 della predetta convenzione”.

Insomma, la commissione Territoriale può gestire a proprio piacimento la permanenza di un immigrato o il diniego. Le leggi ci sono ma sono anche facilmente evitabili, così un potenziale richiedente asilo a volte si ritrova con un decreto di espulsione nonostante effettivamente non lo meritasse.

Le decisioni della Commissione non dovrebbero in alcun modo essere influenzate da posizioni governative, ma rispettare fedelmente i principi della Convenzione di Ginevra: eppure, l’attribuzione o meno dello status di rifugiato talvolta sembra dipendere più dal paese di provenienza che dalla storia personale del richiedente asilo. L’impressione è che le persone provenienti da certe aree geografiche abbiano a priori maggiori probabilità di ottenere lo status di rifugiato.

In caso di diniego è possibile presentare istanza di riesame. La richiesta si può fare solo nel caso in cui ricorrano elementi nuovi o documenti prima non reperibili. Il ricorso si presenta presso il Tribunale ordinario. Il Tribunale competente è quello che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d’appello in cui ha sede la Commissione Territoriale. I termini per il ricorso previsti dalla legge sono 30 giorni. In seguito al ricorso la legge dispone che sia rilasciato un permesso per richiesta asilo. Per i richiedenti trattenuti in CIE o nei CARA i tempi per il ricorso sono fissati in 15 giorni. Il ricorrente ha diritti, se sussistono i requisiti di reddito, al gratuito patrocinio a spese dello stato.

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