Cosa significa oggi essere un rifugiato?

Malakal Goak sei anni fa ha chiesto l’asilo politico negli Stati Uniti. Venerdì, il giudice per l’immigrazione, dopo averlo ascoltato per due ore, ha dichiarato alla stampa che probabilmente deciderà a gennaio se accetterà Malakal Goak come rifugiato.

Goak è noto per essere un sostenitore di una piccola comunità meridionale in Sudan. L’area dove Goak viveva e svolgeva le sue attività, Omaha, è una delle località che sforna più profughi al mondo. La maggior parte di loro, preferisce andare in Usa.

Nel momento dell’audizione, Goak, davanti ai giudici ha dichiarato di essere stato torturato in patria, da alcuni funzionari del governo e che oggi, sono ancora in posizioni di potere. Goak, teme di essere perseguitato se torna in patria. Il giudice, Jack Anderson ha detto che valuterà tutto ciò che Goak ha dichiarato.

Questa storia che viene da oltreoceano, è tanto vicina nel vecchio continente. Una grande quantità persone, ogni giorno, si allontanano dal proprio Paese per scappare alla violenza e alle persecuzioni. Iniziano i cosiddetti viaggi della disperazione, per sfuggire ad una morte quasi certa. Meglio provare a sopravvivere in un altro luogo che accarezzare ogni giorno la morte.

E proprio quelle persone che noi guardiamo nel piccolo schermo con tanta tenerezza, nel nostro continente, vengono respinte, recluse ed espulse in continuazione. Davanti alla tv, siamo pieni di sentimenti e voglia di aiutare, ma appena le stesse persone che abbiamo visto in tv, varcano i nostri confini, ci si irrigidisce e si respinge. Nonostante le leggi internazionali lo impediscano. Leggi, che non vengono più rispettate da nessuno Stato firmatario. Da rivedere? Sicuramente.

L’assurdità è che il richiedente asilo, scappato dalla persecuzione nel suo Paese, subisce una nuova violenza nel paese che lo “accoglie”. Può ritrovarsi all’interno dei Cie fino ad un massimo di 180 giorni. Se poi verrà rimesso in libertà, percepirà una nuova prigione a cielo aperto. Ed essendo “irregolare”, libertà vuol dire tornare dietro le sbarre del Cie e contare nuovamente 180 giorni prima di poter uscire. Una vera beffa, una presa in giro.

Capita molto spesso che il richiedente asilo viene visto come un peso economico e politico dalle nostre autorità. In quanto, dare lo status di rifugiato ad una persona che proviene da un Paese “amico” comporterebbe l’inizio di una diatriba tra i due Stati alleati. Si guarda quasi sempre allo Stato di provenienza e molto poco, pochissimo, al valore di un essere umano. Oro, petrolio e diamanti nei paesi africani fanno gola a tutti. E per questo motivo si segue la strada del ricatto economico e per niente quella umana. Molta discriminazione parte anche da lì.

Non solo nelle strade e nelle leggi varate c’è razzismo e indifferenza. C’è intolleranza anche nelle pratiche burocratiche che rallentano “volontariamente” i procedimenti (scoraggiando il richiedente asilo), nei rapporti commerciali tra gli stati (che impediscono le richieste d’Asilo) e all’interno degli uffici delle questure e delle commissioni territoriali (dove c’è una grande confusione, progettata a tavolino?).

Non bisogna guardare solo ciò che accade nelle strade. Ma dobbiamo spulciare negli archivi, nelle storie personali. Abbiamo l’obbligo di conoscere chi decide che una persona deve o no tornare a casa. Nessuno ha mai iniziato a studiare il fenomeno dall’interno delle “camere oscure” dello Stato. E’ lì che parte il razzismo e la xenofobia. E’ lì che si muovono i respingimenti e le espulsioni. Una macchina inarrestabile che non è mai stata studiata da nessuno e che rimane oscura a tutti noi.

Alla fine degli anni ’80 i rifugiati politici che provenivano dai paesi delle dittature dell’Est, venivano accolti a braccia aperte. Si presentavano tranquilli, con la valigia alla frontiera. Questo per dimostrare al mondo l’apertura democratica occidentale. Per mostrare, che un nuovo mondo era possibile.

Oggi, i richiedenti asilo che subiscono violenza e maltrattamenti non sono desiderati. Chi arriva in Aereo con la valigia, verrà subito sbattuto nei Centri di identificazione ed espulsione. Chi fugge all’improvviso, senza potersi preparare la valigia, perché la propria abitazione è stata bruciata o perché si è preferito fuggire immediatamente, vengono respinti ed espulsi in quanto “irregolari”.

Vale ancora dire che l’Italia, l’Europa, e molti altri paesi del mondo, solo a parole sono firmatari della Convenzione di Ginevra. Dato che nessuno la rispetta, per quale ragione non si prova a modificarla inserendo sanzioni commerciali a chi non la rispetta?

Le leggi dello Stato spesso vengono realizzate sovrapponendo immigrazione “irregolare”, richiedenti asilo e sicurezza. Sono tre realtà completamente diverse fra di loro, ma qualcuno ancora non lo riesce a capire.

Onori Andrea

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