Gli Rohingya chiedono aiuto

E’ molto difficile poter sopravvivere all’interno di una nazione costruita da una compatta maggioranza indifferente verso una piccolissima ed “insignificante” minoranza che chiede solamente ciò che gli spetta: cibo, rispetto e dignità. Ed è ancora più difficile sopravvivere quando le comunità internazionali non si interessano alle disgrazie di una minoranza che da anni soffre un lungo inverno saturo di discriminazione e insicurezza, la primavera sembra solo un utopico miraggio. Noi occidentali snobbiamo molti gruppi minoritari oppressi, sembra che ci siano minoranze di serie A e quelle di serie B. Una questione sicuramente economica e politica, ma si fissa lo sguardo ad una minoranza anche per moda o simpatia.

Tra i confini del Bangladesh e la Birmania, nella zona di Kutupalong, c’è una crescente crisi umanitaria denunciata da Medici Senza frontiere. Una terra dimenticata da tutti, forse perché non politicizzata e non conveniente economicamente. In quella terra migliaia di Rohingya, una minoranza etnica musulmana, che per decenni è fuggita da persecuzioni e discriminazioni nel proprio paese, stanno lottando per sopravvivere in un campo di fortuna. Molti però scappano dalla Birmania occidentale per chiedere asilo in luoghi più sicuri, ma da anni sono soggetti a violazioni sistematiche dei diritti umani da parte dei regimi militari e dei governi che incontrano nella loro strada. Il trattamento inumano inflitto ai rifugiati Rohingya non fa notizia, eppure sono anni che urlano per farsi ascoltare. Nel mese di dicembre del 2008, molti migranti scelsero la via del mare per raggiungere la Thailandia ma la marina li ha bloccati e respinti nelle acque internazionali senza cibo né acqua. Da allora, molti migranti che hanno scelto la via del mare risultano dispersi, probabilmente annegati, mentre alcuni sono stati soccorsi dalle guardie costiere indonesiane e indiane.

Attualmente, circa 25 mila persone hanno ottenuto lo stato di rifugiato in Bangladesh. Altre centinaia di migliaia di persone lottano per sopravvivere, prive di riconoscimento e assistenza, passando da una situazione critica all’altra, soggetti allo sfruttamento. In quella terra abbandonata da tutti, Medici Senza Frontiere, ha trovato 20 mila persone in condizioni disastrose, con scarso accesso all’acqua potabile e agli impianti igienici.
Più di qualche anno fa avevano una loro terra e lavoravano i campi, adesso vaste distese di terreni sono disabitati e incolti, usurpati negli anni dai militari del governo birmano ai Calà. Così li chiamano, sta a significare immigrato. Una ragazza in un intervista nel 2008 raccontò che “se andiamo all’ospedale dobbiamo pagare di più, se andiamo a scuola dobbiamo pagare di più. E a proposito di scuola, a noi non è concesso studiare l’inglese né laurearci in medicina e ingegneria. Questa è anche la nostra terra, e noi chiediamo solo di vivere in pace”.

Onori Andrea

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