I Penan non intendono mollare

I popoli Penan, vivono nella foresta tropicale più antica del mondo che sorge nell’isola del Borneo nei pressi del mar cinese. Una regione che appartiene allo stato del Sarawak e dal 1963 fa parte della federazione Malese. Il Sarawak è coperto da una fitta foresta pluviale ed i Penan da vent’anni si battono per fermare il disboscamento delle loro terre. Nel corso degli anni alcune comunità hanno avuto la meglio, ma altre hanno dovuto assistere alla devastazione delle loro foreste, all’inquinamento dei loro fiumi e alla scomparsa delle piante e degli animali da cui dipende la loro sussistenza. La foresta è un elemento essenziale per i Penan, e fornisce loro tutto ciò di cui necessitano per sopravvivere.
I Penan sono cacciatori-raccoglitori, oggi, molti sono sedentarizzati, e circa 500 di loro conducono una vita completamente nomade nella foresta, da cui tutti, anche i Penan stanziali, dipendono ancora in modo sostanziale.”La società penan è mite e egualitaria, priva di gerarchie. Come per i Pigmei, anche nella lingua dei Penan non esiste alcuna parola per dire ‘grazie’ perché i beni vengono condivisi fra tutti, e ad ogni cacciatore è proibito mangiare un solo boccone in più di quanto non venga dato agli altri, qualunque sia la dimensione della sua preda”, lo dice Survival, l’unica organizzazione mondiale a sostenere i popoli tribali di ogni continente attraverso campagne di mobilitazione dell’opinione pubblica.
A partire dai primi anni ’70, tutti i popoli tribali del Sarawak sono stati sfrattati dalle loro terre per far spazio alle compagnie del legname, alle dighe e alle piantagioni di palma da olio. Costretti a vivere in villaggi, le tribù si sono progressivamente ridotte in condizione di estrema povertà. Così, mentre le foreste vengono distrutte e i fiumi interrati, l’inquinamento avanza uccidendo i pesci, mettendo in fuga la selvaggina e costringendola a trovare rifugio ai margini delle poche foreste rimaste.
Nel 1987, i Penan hanno iniziato a ribellarsi, erigendo barricate umane lungo le vie d’accesso alle foreste. Di conseguenza, molti di loro, impegnati in estenuanti presidi pacifici lontano da casa, hanno sofferto gravemente la fame o sono stati addirittura incarcerati senza processo. Finalmente, le loro manifestazioni hanno cominciano a dare qualche risultato: alcune compagnie del legname hanno infatti accettato di sospendere il taglio delle foreste. Nonostante ciò, i Penan dovranno continuare a vigilare affinché le promesse vengano mantenute.
I Penan in questi giorni, secondo l’organizzazione, sono tornati a bloccare le strade e a ribellarsi. Armati di frecce e cerbottane hanno eretto blocchi per impedire la deforestazione. “Questa foresta è l’unico luogo che ci è rimasto per cacciare e cercare cibo Ma è un pezzettino piccolo. La notte scorsa sono uscito a caccia ma sono tornato a mani vuote. Se non riusciremo a salvare questo pezzettino di foresta, non avremo più niente da mangiare”. ha detto uno di loro.
Il disboscamento in corso è coperto dalla decisione del governo malese di non accettare il risultato della recente sentenza della Corte Federale, che riconosce agli indigeni Penan il diritto alle terre ancestrali. Lo fa sapere l’avvocato Baru Bian, impegnato nella causa legale in sostegno dei Penan, che tentano di proteggere le proprie foreste dalle compagnie minerarie o del legno.

Onori Andrea

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