la storia di Roger - Un diritto negato

Roger Chiede aiuto, lo chiede a tutti noi, ma nessuno risponde. Siamo indifferenti a tutto, anche se ci dice chiaramente che, se dovesse tornare in Congo, rischia di essere ammazzato. Mi ha raccontato la sua storia agghiacciante, le sue paure e le delusioni di veder negato il permesso di soggiorno “ingiustamente” . Le commissioni centrali quando ascoltano le storie forse sono troppo fredde, di ghiaccio, per capire cos’è il valore di un essere umano e restano indifferenti alle storie drammatiche di molti migranti che scappano dalle persecuzioni.

Roger è un ragazzo di 27 anni, nato il 02 .07.1982 a Kinshasa, la capitale e la maggiore città (7.500.000 abitanti) della Repubblica Democratica del Congo. Fu fondata da Henry Morton Stanley nel 1881 con il nome di Léopoldville, in onore del sovrano belga Leopoldo II. Prima dell’indipendenza, Léopoldville era costituita da due parti distinte, la città degli europei e quella africana chiamata Quartier Indigène. I residenti, necessitavano di un permesso speciale per entrare nelle diverse parti della città dopo le ore 21.00.

Nel 1965 Léopoldville venne rinominata Kinshasa, nome di un piccolo villaggio che si trovava nei pressi della città. Nel ricordo degli europei occuparono il suo territorio, ora, Roger è a Torino per chiedere aiuto ad un paese europeo, all’Italia. Ma il nostro paese resta sordo, Roger ha trovato le porte chiuse e non sa dove aggrapparsi per sfuggire alla morte. Con una lettera lunga ed emozionante mi ha iniziato a raccontare i suoi problemi e le sue paure, dell’adolescenza, nella Repubblica Democratica del Congo e della giovinezza, in Italia.

Ci siamo incontrati a Roma, presso la stazione Termini e Roger, come un fiume in piena, inizia a raccontarmi tutta la sua storia. Nel suo paese era un musicista e cantante di musica cristiana, nel 2002 ha preparato il suo primo album uscito poi nel 2005 dal titolo ”perché tante sofferenza al popolo congolese”.Le sue canzoni urlano a gran voce che il popolo soffre proprio perché i politici difendono solo i loro interessi provati. Per questi motivi, ha iniziato ad avere seri problemi con le autorità. Nelle sue canzoni esorta il suo popolo ad alzare la testa ed a camminare lungo la via della libertà “perché nel mio paese non c’è la democrazia”.

Una settimana dopo l’uscita dell’album i militari si sono presentati a casa sua e “ dopo un paio di giorno la polizia segreta del governo mi cercava. Un giorno, a mezzanotte, una pattuglia dell’ esercito faceva irruzione nella mia abitazione, assassinandone il mio fratello di anni 18 ed il portiere di casa. “Mio fratello si chiamava Binda kafuti”dice Roger.

“Io riuscivo a fuggire e mi nascosi presso l’abitazione di mio zio wantara engi”. Era l’11 settembre 2005. Mi ha fatto vedere anche due testimonianze, ovvero due certificati di morte, scritti in francese, che ha portato in Italia come prova schiacciante della morte dei due. Il Dott Mazita Boy e di Dott Mputi Mboi del “centre union medicale” hanno firmato entrambi i certificati di decesso del fratello 18enne e di Matondo Izana di 46 anni. Il certificato dichiara che entrambi sono morti “par assassinat”.

Roger riesce a fuggire dai militari raggiungendo la casa di suo zio e poi raggiungendo in taxi il Congo Brazzaville lasciando una moglie e due figli a Kinshasa, “sono nascosti, vivono nelle paura, senza nessun sostegno”dice Roger. Dal Congo Brazzaville ha preso l’aereo per raggiungere l’aeroporto di Torino. E’ partito con un uomo del corpo diplomatico che gli aveva portato un passaporto falso. Alle 21.20 del 19/09/2005 è arrivato a Torino e la persona che l’aveva aiutato a fuggire andò via.

E’ giunto in Italia e, come da prassi. Ha presentato l’istanza per il riconoscimento dello status di rifugiato alla questura di Torino che allora rispondeva alla Commissione territoriale di Milano, in quanto la commissione territoriale di Torino non era ancora attiva. Il 4/01/2005 è stato ascoltato alla questura di Torino da un responsabile dell’ufficio immigrazione e il 10/11/2005 è avvenuta l’audizione da parte della commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato di Milano presso la prefettura. L’audizione iniziata alle ore 12,45 è finita alle 14,20 con la partecipazione del presidente della commissione, l’interprete ed ovviamente il richiedente asilo.

Il 31 ottobre del 2006, presso l’ufficio immigrazione della questura di Torino, Roger ha visto sventolarsi in faccia il diniego. Le autorità non hanno creduto alla sua storia e la domanda è stata rigettata “senza nessuna motivazione” dichiara Roger e sugli atti ufficiali c’è scritto che la questura “..Comunica che lo straniero, dal momento della notifica del presente atto non è più in regola con le norme vigenti in materia di soggiorno in Italia ed è invitato a presentarsi entro e non oltre il quindicesimo giorno successivo a tale data, presso il posto di polizia di frontiera che verrà indicato all’atto della notifica per il volontario esodo dal territorio nazionale. Avvisa che in caso di mancata presentazione si procederà all’applicazione dell’espulsione (…).” Roger ricorda: “Davanti alla commissione territoriale ho dichiarato che un mio eventuale rientro in patria avrebbe potuto comportare il mio assassinio”.

Roger è una persona molto intraprendente: ha frequentato corsi di formazione linguistica all’ufficio migranti di Torino, ha svolto uno stage attraverso l’ufficio stranieri ed ha iniziato un tirocinio formativo presso un’azienda dove aveva ottime possibilità di essere assunto, ma purtroppo, il diniego della commissione territoriale gli ha spaccato le gambe: “mi ha fatto saltare ogni mio progetto di autonomia. Avevo un lavoro e l’ho perso, avevo un futuro e ora solo un abisso senza speranza.”

Ma Roger non si è fermato, ha presentato il ricorso straordinario e grazie all’articolo 17 della legge 303 del 2004, il richiedente asilo che ha presentato ricorso al tribunale può chiedere al prefetto, di essere autorizzato, a permanere sul territorio nazionale fino alla data di decisione del ricorso.

Ma non è assolutamente una passeggiata per lui, il ricorso lo si può fare contattando solamente un avvocato e rinnovando il visto ogni sei mesi. In Italia la sua vita è fatta solo di lunghe attese, Roger attende da quasi tre anni ed ogni sei mesi deve dare all’avvocato 300 euro per vedersi prorogare il visto in attesa del giudizio finale. Roger sa che può avere il patrocinio di un avvocato gratuitamente “ loro non mi seguono, non gli interessa nulla di me. Mi farebbero espellere.” Infatti il primo avvocato che ho avuto ha combinato un pasticcio.”

Questi rallentamenti e comportamenti assurdi da parte delle autorità e di un sistema assurdo sono fatti proprio per scoraggiare l’immigrato che attende con ansia il riconoscimento dello status di rifugiato. E’ un inferno, è snervante, lo demolisce moralmente, fisicamente ed economicamente. Vive in solitudine nell’attesa che questa agonia finisce: “si vive molto male sperando sempre che qualcuno deve aiutarti” mi ha riferito Roger.

Le condizioni di precarietà caratterizzano la sua vita quotidiana, deve vivere con l’incertezza del diritto al soggiorno in Italia e alla possibilità di essere rimpatriato e rischiare seriamente la sua vita. In queste situazioni è molto alto il rischio di incorrere in rimpatrio coatto e, una volta raggiunta la sentenza definitiva, può essere espulso nonostante la convenzione di Ginevra del 1951 lo impedisce. Infatti, Roger ha il diritto a restare in quanto il rifugiato è tale quando teme “di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità ,appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche” e l’art 33 della stessa convenzione ci delinea il principio del non – Refoulement ovvero, “nessuno stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”

Nella sua lunghissima lettera Roger concludeva dicendomi che: “Per avere il permesso di soggiorno non so più cosa devo fare, per favore, non c’è la faccio più, aiutami. Tutti mi dicono che devo aspettare, ma fino a quando?”. Queste sono le politiche migratorie italiane, questi sono i tempi di attesa, questa è la realtà che molti migranti devono subire.

NEWS:

10 dicembre 2009:
Il pasticcio del primo avvocato di cui parlavo è quello di aver scelto di fare il ricorso al Presidente della Repubblica invece del ricorso ordinario. Il perché di questa scelta non lo si sa. Potrei immaginare perché costava di meno. Neanche l’attuale avvocato di Roger è convinto di questa scelta. Un altro avvocato contattato, è stato più esplicito e mi ha detto che non ha mai visto accogliere ricorsi di questo tipo.

Secondo l’attuale avvocato, gestire la pratica di Roger è molto costosa, per questo tira fuori dalle tasche 300 euro. Bisogna pagare anche per sapere se la pratica va avanti (burocrazia, telefonate, ecc.) e per questo motivo Roger doveva pagare altri 200 euro per sapere se la sua pratica era stata dimenticata in un cassetto.

Secondo l’avvocato finché il ricorso non è chiuso l’unica cosa che riesce a fare è farsi dare questi permessi temporanei. Roger paga 300 euro per farsi certificare dall’avvocato precedente che ancora il Presidente non ha risposto, fare la domanda al prefetto e allegare la dichiarazione dello psicologo che certifica che Roger ha bisogno di cure.
Insomma, la situazione è tutt’altro che semplice. Sembra che dal punto di vista legale non si possa fare qualcosa di più. In effetti, la legge è una merda e da quel punto di vista un avvocato non può fare miracoli, anche se 300 euro sono un bel bottino.
Onori Andrea

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