Il modello adottato è troppo fragile per garantire i diritti umani di molte persone che cercano un futuro in Italia. Come hanno denunciato più volte associazioni umanitarie i Cie, sono luoghi dove richiedenti asilo, migranti, tossicodipendenti e ex carcerati con condanne di omicidio condividono la stessa quotidianità, nonostante i loro differenti bisogni.
All’interno convivono normali lavoratori irregolari e persone uscite da anni di carcere che hanno appreso le regole del modello detentivo. Qualcuno non ha nulla da perdere e qualcuno subisce ingiustizie a ripetizione. Questo crea frequentemente problemi di convivenza anche all’interno delle celle. All’interno del lager, ci sono varie tipologie di anime ed i bisogni sono differenti da persone e persona. Sembra un “ripostiglio” per tutti gli immigrati, coloro che momentaneamente non servono al mercato del lavoro. Poi chissà, qualcuno viene ripescato nel momento del bisogno. La stampa, ci mostra una sola etichetta dei reclusi, senza pensare e riuscire a capire, la loro eterogeneità.
Lo squallore del sistema Cie è alquanto inumano e non crea nessun giovamento per nessuno. All’interno di quei centri ci sono persone che sperano in un futuro migliore, che hanno lavorato in nero come una merce per un mercato squallido. Si richiedono quando servono e si lasciano marcire quando non si ha bisogno di loro. Ci sono persone come Miguel, vissuto per tre mesi all’interno del centro di Ponte Galeria (Roma). E’ stato sbattuto in cella dopo che per 20 anni ha svolto il servizio presso le ville dei ricchi italiani. Miguel, non sopportava la vita parassitaria dei Cie. Per questo motivo, ha tentato di suicidarsi ingoiando due pile e bevendo la candeggina. Non per fuggire dall’ospedale, ma per portare a conoscenza la sua storia, le sue paure e la sua estraneità all’interno di quel centro. Ora Miguel è stato espulso. E’ ritornato in Perù, con la pila nello stomaco. Tanta gente che non ha commesso mai un reato si trova lì dentro e non sa proprio come comportarsi di fronte a tanta ingiustizia.
Purtroppo si generalizza e non si raccontano le singole storie di uomini e donne, fatte di soprusi e ingiustizie. Le anime sono tante, ma noi preferiamo accumulare ogni singola storia, molto più conveniente. “E’ vero, all’interno del Cie ci sono tante tipologie di Anime e la verità non è quella che in questi orribili giorni viene gettata addosso alla gente da media di tutti i colori, solo per ottenere cosa ?!? sappiamo tutti cosa!”mi racconta un operatore del Cie di Gradisca D’Isonzo che per motivi di Privacy non rivela il suo nome. Sappiamo tutti che ogni partito politico cerca di tirare l’acqua al suo mulino. Molti, inventano fatti senza mai guardare l’aspetto umano e le singole storie di ogni persona.
L’operatore del Cie di Gradisca che ho contattato mi ha parlato degli scontri tra forze dell’ordine e i reclusi avvenuti il 21 settembre scorso. In quei giorni era all’interno del centro e si respirava un’aria molto tesa:“A casa piango, non dormo, cerco aiuto per vomitare l’amarezza che mi si incolla addosso e non mi lascia tregua insieme all’odore nauseante del sangue” racconta. Molte autorità avevano dichiarato che i filmati, sulla rivolta del 21 settembre, comparsi su youtube, erano vecchi oppure, montati ad hoc. “ I filmati sono di quel giorno. Lo confermo” racconta l’operatore.
Alle tredici, tre ragazzi della zona blu, si tagliano, “uno è quello che si vede su youtube con l’occhio pesto e i pantaloncini insanguinati (come i miei quando spesso torno a casa)” racconta l’operatore. La rivolta scoppiò per una perquisizione nelle stanze: la polizia quel giorno sequestrò cellulari con videocamera (chiaramente qualcuno è sfuggito) e recuperò oggetti che alcuni ragazzi usavano per affrontare le forze dell’ordine. “Due giorni prima, una nostra operatrice che stava chiudendo le porte di sera, si è trovata la testa aperta da un colpo di lucchetto ed è finita in ospedale per trauma cranico”. L’insoddisfazione, la rabbia, il disagio dimostrano l’insuccesso dei Cie. Un sistema che invece di diminuire la violenza, potenzialmente la aumenta. Come aumenta l’odio verso un paese moralmente alla deriva.
Molte volte si è parlato di psicofarmaci distribuiti ai detenuti per sedarli: “sarò forte e somministrerò come ogni volta le medicine vere che abbiamo, eviterò con tutta la mia forza di non dare psicofarmaci richiesti insistentemente come surrogato di droghe”. Sottolinea che gli psicofarmaci vengono richiesti esclusivamente dai detenuti. I tossicodipendenti li prendono per sostituire le sostanze stupefacenti, molti altri per affrontare la triste vita all’interno dei Cie. “Magari trovassero una soluzione a quest’inferno. Magari aprissero le porte domattina” dichiara.
Come mi confermò qualche tempo fa Jonny (recluso nel cie di Ponte Galeria - Roma), “quì sembra di stare in uno ospedale psichiatrico, noi non abbiamo mai fatto nulla di male. Voglio uscire”. Purtroppo oggi, per gli immigrati “irregolari”, non ci sono diritti. Non ci sono strutture adatte per il recupero di tossicodipendenti, per persone che hanno compiuto omicidi ecc. Siccome sono stranieri, invisibili, vengono rinchiusi tutti all’interno di una fortezza. Sembra un gioco squallido per far apparire gli immigrati tutti malvagi e prepotenti. Alla mia domanda provocatoria: se istituire i Cie ed inserire all’interno richiedenti asilo e criminali, potrebbe essere un disegno per scoraggiare il richiedente asilo e per etichettarlo come un poco di buono, agli occhi della popolazione. L’operatore mi ha risposto: “Si…potrebbe esserci un disegno dietro tutto questo, ma di chi ed a che scopo?”.
Si poteva evitare tutto ciò?: “Sai che non so cosa risponderti? Vivo tante ore qua dentro, ho imparato ad alzare la voce per farmi rispettare. Ho imparato a conoscerli, con certi ho un bel rapporto, tutti sanno che dono il cuore per loro. Ci sono ragazzi bravi qua dentro che se ne stanno quieti ad aspettare”. Ma fino a quando dovranno aspettare e perché devono attendere di uscire da una detenzione ingiusta?
“Poi, quando se ne vanno ti salutano passando in infermeria e con le lacrime agli occhi io rispondo al loro saluto nella loro maniera: battendomi il cuore con il pugno due volte, come mi hanno insegnato, perché significa che gli sei rimasta dentro.”
Andrea Onori
Pubblicato il 13 ottobre 2009 su "Periodico Italiano"
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