Stracolmo il campo profughi Dadaab in Kenya

L’UNHCR denuncia che oltre 270 mila somali che, per sfuggire ai combattimenti, si sono rifugiati nel campo profughi di Dadaab, una città nel nord del Kenya a circa 100 km dal confine somalo, sono ridotti allo stremo. Per i rifugiati accolti nei campi, c’è mancanza di cibo acqua e cure mediche. E per questi motivi secondo medici senza frontiere i profughi stanno considerando di tornare nelle zone di combattimento per trovare qualcosa da mettere sotto i denti. “La situazione è semplicemente scandalosa. Questi rifugiati hanno rischiato la vita per fuggire dal conflitto in Somalia e ora alcuni di loro ci dicono che preferiscono sfidare la sorte a Mogadiscio piuttosto che morire lentamente qui. Le organizzazioni umanitarie sono presenti nei campi, ma non riescono a soddisfare le necessità immense e in costante aumento di questa popolazione sfinita dalla guerra. C’è bisogno di intervenire subito!”, lo aveva detto circa 2 mesi fa Joke van Peteghem, capo missione MSF in Kenya, ma oggi nulla è cambiato.

Il campo profughi Dadaab, copre una superficie totale di 50 km quadrati ed è suddiviso in 3 distinti campi: Hagadera, Ifo e Dagahaley. Dall’inizio del 2008, a causa delle terribili ondate di violenza scoppiate nel paese, più di 50mila civili hanno raggiunto i campi rifugiati, portando il totale della popolazione dei campi fino a 270mila. Ogni campo può accogliere 30mila persone, ma in realtà ognuno ne contiene circa il triplo. Le tre differenti tendopoli di Dadaab, hanno ospitato i rifugiati per oltre 15 anni, a partire dal 1991. La gestione del campo è affidata all’organizzazione umanitaria internazionale CARE ed il suo partner nella gestione del campo è L'UNHCR. La maggior parte delle persone che vivono nei campi (il ben 97% ) sono somali, ma ci sono anche profughi che provengono dal Sudan, Uganda, Congo e altri paesi in conflitto. Molti di loro sono sopravvissuti in Dadaab per oltre un decennio.

Oggi, si stimano arrivi di profughi di circa 1.000 al giorno, in alcuni casi, mettendo un pesante fardello sulle risorse già carenti presso la popolazione locale. L’Alto commissariato delle nazioni Unite per i rifugiati ha dovuto ammettere che il campo non rispetta gli standard delle Nazioni Unite. Pacereporter dice che ogni profugo riceve meno di 12 litri d’acqua al giorno, anziché 20 e il centro sanitario, che dovrebbe occuparsi al massimo di 10 mila persone, ne serve circa 28 mila. “I campi sono bombe a orologeria per la salute pubblica”, ha affermato Donna Canali, un’infermiera che ha recentemente concluso il suo incarico come coordinatrice del progetto di medici senza frontiere nel campo di Dagahaley. “I rifugiati, molti dei quali seriamente feriti o malati, sono stipati nei campi senza il minimo indispensabile alla sopravvivenza: acqua, cibo, ripari e assistenza medica. Dopo tutto quello che queste persone hanno sopportato, per quanto ancora i loro bisogni primari continueranno ad essere così tristemente negati?”

Cresce sempre di più il numero di persone costrette a fuggire dalle proprie case a Mogadiscio e in molte altre zone del mondo. Questo può farci ben capire che il mondo è carente di libertà democratiche, di uguaglianza e di rispetto reciproco. Un mondo indifferente e continuamente in competizione che è disposto anche ad eliminare o lasciare alla miseria un suo simile. Le emergenze inteneriscono sempre all’inizio, poi con il passar del tempo tutto si dimentica. Vivere per 20 anni rinchiusi in un campo profughi non è vita, eppure i riflettori, dopo la guerra in Somalia si sono spenti. Molti bambini sono nati in quel campo profughi e dalla loro nascita sono rinchiusi lì dentro, sono cittadini di nessuna nazione. Cittadini di un campo profughi di qualche chilometro quadrato, dimenticati dal mondo.

Onori Andrea

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