La seconda fase della Guerra in Somalia

Nel porto di Chisimaio, scrive Simon Allison sul giornale sudafricano “Daily Maverick”, i ribelli somani di Al Shabaab hanno subito una sconfitta grave, ma non definitiva. Tutto fa pensare che moltiplicheranno le operazioni di guerriglia. 


Alla fine, dopo essersi faticosamente fatti strada tra le sabbie, il fango e le foreste della Somalia, il 28 settembre i soldati keniani e somali hanno attaccato Chisimaio. Mentre i militari sbarcavano sulle spiagge della città, molti combattenti di Al Shabaab sono fuggiti, abbandonando il porto somalo che era diventato la loro principale fonte di guadagno e di approvvigionamento. 

E’ un momento fondamentale per i somali”, ha dichiarato il presidente keniano Mwai Kibaki in un discorso che ricordava un po’ troppo quelli dell’ex presidente statunitense George W. Bush sulla “missione compiuta” in Irak. Kibaki ha comunque buone ragioni per rallegrarsi. “Sotto ogni punto di vista è stato un capovolgimento straordinario”, ha scritto David Smith sul “Guardian”. “Tre anni fa il governo somalo controllava un’area di pochi chilometri quadrati nella capitale Mogadiscio, mentre i miliziani ribelli imponevano la sharia, la legge islamica su gran parte del paese. Oggi i guerriglieri di Al Shabaab sono stati cacciati dalla capitale e hanno dovuto rinunciare al porto di Chisimaio”. 

Questo risultato è stato raggiunto con l’uso della forza, per la precisione con l’impiego di diciassettemila soldati della missione dell’Unione africana in Somalia. Da ottobre 2011 queste truppe, provenienti da cinque paesi africani, hanno condotto un’offensiva contro Al Shabaab, che all’epoca imponeva la sua versione rigida e letterale dell’islam su gran parte del sud della Somalia: erano vietate musica e TV, così come i giochi e gli sport. L’istruzione era incoraggiata, ma limitata allo studio del Corano e della sharia, mentre la trasgressioni erano punite severamente con amputazioni e frustate. Una situazione che ricordava la vita sotto i taliban in Afghanistan. 

Oggi i miliziani di Al Shabaab sono in difficoltà, ma non sconfitti totalmente. Controllano ancora alcune piccole città dell’interno e tutto sembra suggerire che si stiano preparando a lanciare una lunga e snervante guerriglia. Nel frattempo non è chiaro cosa abbiano in programma in Kenya e l’Unione africana. Per quanto tempo i soldati stranieri resteranno in Somalia? Chi governerà Chisimaio e le altre città? E’ realistico pensare di poter affidare l’amministrazione e la responsabilità della sicurezza all’esecutivo somalo, che in passato si è dimostrato corrotto e inefficace? 

Per capire quale sarà il futuro della Somalia potrebbe essere utile prendere in considerazione quello che è successo ai taliban. In Afghanistan gli Stati Uniti non hanno ancora una strategia chiara, nonostante un impegno decennale costato centinaia di miliardi di dollari. Pur non essendo in grado di controllare molte parti del paese, i taliban (che sposano una ideologia molto simile a quella di Al Shabaab) conoscono bene il territorio hanno il sostegno necessario per portare avanti una campagna di attentati terroristici estremamente efficaci, che ha distrutto il rapporto di fiducia tra le forze della coalizione straniera e i loro partner afgani, indebolendo il governo di Kabul. Al Shabaab farà la stessa cosa. 

E’ difficile pensare che la Somalia possa evitare questo destino. La nomina delle nuove autorità e la stesura della nuova costituzione sono avvenute attraverso un processo poco rappresentativo, che no ha affondato le questioni più importanti. Tra queste, cosa fare con Al Shabaab, un problema ancora più urgente dopo la sconfitta grave, ma non definitiva, subita a Chisimaio.

di Simon Allison, Dayly Maverick, Sudafrica

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