Iraq: tra sangue e traffici di petrolio

Sono circa 60.000 le multinazionali che controllano l’intero pianeta. La maggioranza di esse, hanno le sedi nei paesi occidentali, ma le localizzazioni delle aziende sono per il 90% nei paesi del Sud e il loro fatturato spesso è superiore al Pil anche di alcuni paesi occidentali.

Un consorzio formato dai giganti petroliferi BP e CNPC International, rispettivamente inglese e cinese, avrebbero vinto l’appalto ventennale per lo sfruttamento e l’estrazione di 17 miliardi di barili nella zona di Rumalia, nel sud dell’Iraq. Dopo l’Invasione di Bush, la morte di Saddam, ieri, è stato stipulato un contratto tra sei campi di petrolio e due di gas, messi in vendita all’occidente dal governo iracheno. Ora, le risorse passano dal controllo statale alla piena libertà dispotica delle multinazionali. L’Iraq è il terzo paese al mondo per quanto riguarda le risorse petrolifere, stimate in almeno 115 miliardi di barili. Alcuni membri del parlamento lamentano però il fatto di non avere possibilità di intervenire in questi affari. Vendono senza avere più parola nella gestione e nella compravendita e ricevono, in cambio, qualche spicciolo per la ricostruzione. L’economia dell’Iraq fino a ieri, si basava fortemente sull’esportazione di petrolio (nazionalizzato nel 1972) all’estero.

Ma non sta andando tutto liscio. I sindacati e la South Oil Company (la compagnia di Stato irachena che gestisce i giacimenti del sud) hanno dichiarato battaglia contro le vessazioni delle multinazionali. Dalle opposizioni è emerso un rapporto dettagliato da consegnate al Parlamento e chiedono di respingere il secondo round delle gare d’appalto. Il Direttore Generale della SOC ritiene “che le licenze distruggano il lavoro delle compagnie petrolifere irachene”.

Ieri è stato anche il giorno del ritiro delle truppe statunitensi da tutte le città irachene, per lasciar posto ai nuovi insediamenti coloniali delle compagnie petrolifere. L’annuncio della ritirata è stato diffuso ieri mattina dal ministero degli interni di Baghdad, con un giorno d’anticipo. Iniziato il 20 marzo del 2003, il conflitto, è costato alla coalizione formata da Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia, Polonia e Italia 4.188 perdite e il ferimento di oltre 28 mila soldati, mentre da parte irachena si va dai 30 mila morti dichiarati da Bush (in un discorso del dicembre 2005) ai circa 650 mila, stimati in uno studio apparso nell’ottobre 2006 sulla rivista medica Lancet. Dunque, le forze irachene hanno preso il controllo della capitale e di altre città sei anni dopo l’invasione dell’Iraq da parte delle forze di coalizione e proprio ieri, secondo quanto reso noto dal comando militare statunitense di Baghdad, quattro militari hanno perso la vita nella notte durante un combattimento con gruppi di insorti sunniti. Nonostante questo ennesimo bagno di sangue, con il ritiro americano si chiude il lungo capitolo di quella che passerà alla storia come la seconda guerra Bush, dopo quella del 1990, guidata dal padre dell’ex presidente degli Stati Uniti.

Onori Andrea

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