Ahmed troppo lontano da suo figlio

Ahmed e Ilaria si sono sposati il 7 aprile 2007 e insieme, hanno messo al mondo una splendida creatura. Ahmed è in Italia dal 2001 e fino al matrimonio viveva in clandestinità. Quando arrivarono tutti i documenti, iniziò a lavorare regolarmente e lasciò dietro di se tutta una storia piena di rischi e di insidie. Per cercare di sopravvivere si era inserito nella rete dello spaccio. Per lui, le porte erano chiuse a causa della clandestinità e delle leggi ferree verso gli immigrati.

Oggi, Ahmed, per gli sbagli del passato, si trova recluso in un carcere di massima sicurezza ad Enna. “Mi domando perché” dice Ilaria, dato che questo tipo di detenzione è applicato quando ricorrono gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica. “Mio marito ha sbagliato, ma sta pagando troppo”.

Tutto ha inizio il 16 luglio 2008, quando la polizia fa irruzione nella loro abitazione alle 5 del mattino e, dopo una perquisizione, Ahmed viene portato in carcere. L'indagine per la quale viene arrestato è partita nel 2006 e prende il nome di “Operazione Wolf”. Nel fascicolo compaiono all’incirca trenta nomi tra albanesi, tunisini, italiani e marocchini, “a mio marito vengono imputati l'acquisto e lo spaccio di sostanze stupefacenti per mezzo chilo” racconta Ilaria. Nel fascicolo infatti compare l’illecito di traffico e detenzione di sostanze stupefacenti nel periodo che va da dicembre 2006 a marzo 2007, quando Ahmed era ancora in clandestinità.

Da luglio 2008 a dicembre 2008, Ilaria tranquillamente va a colloquio, con suo marito, nel carcere di Brescia. Un giorno di dicembre, la ragazza si reca nel carcere e scopre che suo marito è stato trasferito ad Enna. Ilaria, ha potuto vedere suo marito da luglio a dicembre. Poi, Ahmed non ha avuto più visite per la lontananza dalla famiglia.“Noi, io e mio figlio – dice Ilaria - risiediamo a Brescia e dato che per poterlo vedere dovrei spendere metà del mio stipendio, rinunciamo alla visita. Anche mio marito spinge per non venire ad Enna, dice che i soldi li devo usare per il bambino.”

La data del processo viene stabilita per il 20 maggio 2009 e verrà riportato a Brescia. “Dopo ben 5 mesi lo rivedo e cosa migliore, lui rivede il bambino” dice Ilaria. Il processo si articola in 6 udienze, (essendo considerevole il numero di imputati) che vanno da maggio a ottobre e nella pausa estiva, a luglio, Ahmed verrà riportato a Enna. Tornerà solo a settembre, “passano quasi due mesi senza vederlo nuovamente”. A settembre ricominciano le udienze e terminano a fine ottobre. Ahmed viene condanno a 6 anni e 10 mesi, multa di 28.000 Euro e espulsione dall’Italia. Tempo una settimana dal termine del processo e viene nuovamente trasferito a Enna.

Nel frattempo Ilaria e Ahmed decidono di cambiare avvocato che inizia a lavorare da gennaio 2010. Per prima cosa, fa un’istanza di arresti domiciliari che vengono respinti. Successivamente, presenterà altre due istanze (una delle quali al Tribunale delle Libertà) che avranno lo stesso risultato. Nel frattempo, a Maggio del 2009, viene fissata la data del processo d’Appello che sarà il 22 giugno 2010. Dopo 8 mesi di lontananza, Ilaria rivede suo marito.

“Il processo non si conclude nel migliore dei modi ma la pena di mio marito si ridimensiona”, scendendo a 6 anni e 4 mesi, multa ed espulsione inclusi. Anche se, non si capisce perché parlino di espulsione dato che Ahmed è marito di una cittadina italiana e padre di un bambino. Il 3 luglio, Ahmed, viene riportato ad Enna con una condanna definitiva e Ilaria a questo punto non sa quando lo potrà rivedere. Nel carcere di Enna, Ahmed, farà la richiesta di trasferimento, negatagli dai despoti che decidono sulla pelle delle altre persone e che non riescono a guardare in faccia un essere umano, per loro è solo un numero. “Nessuno ha mai risposto” sulla domanda di riavvicinamento.

La ragazza, disperata, si chiede come può essere possibile che ci sia un regolamento che impone un limite massimo di 50 chilometri per trasferire un detenuto e suo marito si trova a più di 1000 chilometri di distanza da lei. “Perché – conclude Ilaria - trasferiscono detenuti che hanno famiglia e fanno colloqui, mentre ci sono molti che non hanno nessuno. Anche a due assassini come Rosa e Olindo, è permesso vedersi. Mio marito non ha ucciso nessuno. Non pretendo che venga portato ancora a Brescia, ma Milano ha 3 carceri.

Come possono pretendere che il carcere rieduchi quando poi, ti strappano i sentimenti e la voglia di andare avanti?

Andrea Onori

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