Davide Contro Golia. Francesco Carbone sfida i poteri forti

Per raccontare la verità in questo Paese, servono tanti quattrini. Se ti avventuri sfidando il potere, ti verranno tolte anche le mutande. In questa palude immobile, possiamo serenamente affermare che la disuguaglianza tra ricchi e poveri è una continua tortura. Ci raccontano balle, facendoci credere che la legge è uguale per tutti poi, ti spogliano economicamente per ridurti sino al silenzio. La legge non è uguale per tutti ma è un privilegio di pochi, di quei pochi che, per difendere la propria libertà, mettono in campo il loro conto in banca e possono permettersi di pagare “l’avvocato più in gamba della città” e tutte le spese che la giustizia richiede. Molti altri italiani, semplici cittadini, non potranno mai avere una piena giustizia se non hanno tanti soldi da tirar fuori e la verità andrà sfumando dinanzi alla parlantina e al potere della controparte.
“Se potessi affronterei anche tutte le spese ma non ne ho neanche per me per il momento. Spero ogni giorno di poter avere le spese legali, ciò significherebbe affrontare un processo che lo Stato italiano si ostina a non fare”. Sono le parole di Carbone Francesco. Sono le evidenti prove che la giustizia discrimina e premia solo chi possiede denaro ed il potere.
La protesta di Francesco Carbone non è certamente silenziosa, il 31 marzo da Palermo si è recato sino al parlamento ed ha protestato per le sue nobili motivazioni. Ma secondo voi qualche divinità politica nostrana poteva mettersi a competere con un comune mortale? Ovviamente No. Nonostante le ripetute sconfitte in partenza Carbone Francesco, non si è dato per vinto e il 7 Giugno, ha inviato la petizione On line al Parlamento Europeo, dato che il potere in Italia ha poco a che fare con la gente semplice e onesta.
Veniamo al dunque. Il signor Carbone, nonostante le evidenti e schiaccianti prove fornite alla procura di Verona che denunciavano i dirigenti di Poste Italiane , dell’Ispettorato del Lavoro, dello Spisal, ditte appaltanti e un dirigente della Cgil, non hanno fatto alcuna indagine. “Dopo 17 mesi e 8 giorni – dice Carbone - hanno archiviato la mia denuncia senza neanche avvisarmi come la legge prevede”.
Per 7 anni Carbone è stato il responsabile della Ditta che ha l’appalto in Poste Italiane. Costretto poi, a dare le dimissioni a seguito di minacce e vessazioni ricevute dall’amministratore della ditta appaltante, e dagli alti dirigenti di Poste Italiane. “Per le mie lamentele sulle lacune lavorative: nessun tipo di sicurezza e igiene sul posto di lavoro, obbligati a fare lavori che non ci competevano per contratto, presenza di lavoratori in nero, straordinari sottopagati in nero, mezzi di trasporto mal messi e spesso senza revisione, continui insulti e minacce dal personale e dai dirigenti” racconta Carbone. Roba da niente secondo la giustizia italiana.
Denunciò questi fatti anche ad un dirigente della Cgil, ma “mi consigliò di non disturbare gli alti Dirigenti di Poste Italiane in quanto avrei perso il posto di lavoro”. Si recò anche presso l’ispettorato del lavoro denunciando che all’interno di Poste italiane giravano “lavoratori in nero con tesserino identificativo fornito dai dirigenti di Poste Italiane e non è stato fatto alcun controllo.” Ha esposto denuncia anche presso lo Spisal di Verona “tutte le irregolarità riguardanti la sicurezza e igiene nei posti di lavoro ed è stato fatto solo qualche controllo.”
Guai a toccare il potere, nessuno si permetterebbe di farlo. Dopo i piccoli dispiaceri creati da Carbone in Poste italiane, egli racconta che il Direttore del Triveneto di Poste Italiane, Roberto Arcuri, presentò una raccomandata al suo datore di lavoro. “Mi obbligava – racconta Carbone - a non entrare in tutti gli uffici di Poste Italiane e di consegnare il pass di entrata, in quanto elemento indesiderato per aver chiesto il rispetto del contratto e della sicurezza sul lavoro.”
Dopo i rifiuti di aiuto, Carbone si affida alla procura della Repubblica fornendo tutti i materiali in suo possesso: documenti , foto, video e tutti i numeri di telefono dei lavoratori in nero. “Nessuna convocazione e dopo 17 mesi e 8 giorni , dopo che gli appalti erano stati riconsegnati alle stesse ditte, il capo della procura Schinaia mi archivia la denuncia senza neanche avvisarmi come la legge prevede, con nessuna motivazione e senza interpellare il Gip. All’epoca ero incaricato pubblico e quindi avevo il dovere, secondo il diritto penale, di denunciare illeciti”. Carbone si è appellato anche al Presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano, e al Ministro Alfano chiedendo che vengano immediatamente inviati degli ispettori a Verona per sequestrare e verificare l’operato del capo della procura.
Perdere il posto di lavoro, perdere la dignità, il diritto di avere giustizia. “Per aver fatto il mio dovere e aver preteso i miei diritti, mi sono dovuto ritrasferire con tutta la mia famiglia nella mia terra di origine, la Sicilia. Mi ritrovo disoccupato da 2 anni, deriso e guardato male da tutti, in quanto mi sono messo contro alti Dirigenti pensando di avere giustizia. Come ciliegina sulla torta mi viene negato anche il diritto di chiedere il risarcimento dei danni subiti da me e dalla mia famiglia.“
Carbone si chiede se sia normale che in una nazione civile succeda una palese violazione dei diritti umani. Possiamo rispondere tranquillamente che l’Italia, o perlomeno le istituzioni e i nostri dirigenti, sono tutt’altro che civili e democratici come ci vogliono far credere. Il piccolo Davide, deriso per aver sfidato Golia, è un esempio di una mentalità “paurosa” entrata nelle nostre menti. Non si toccano i potenti, avresti sempre la peggio. Questo è il messaggio. Ci insegnano sin dalle scuole elementari di non disturbare il cane che dorme. Così, di questo passo, l’organizzazione mafiosa “legalizzata” continua ad andare avanti e prendersi gioco di noi piccoli comuni mortali.
Andrea Onori
da Periodico italiano

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