Si pensa, ma non si dice che scompaiono in massa

“Siamo stremati, alcuni di noi stanno male e temiamo la Libia. Vi prego aiutateci”. E’ stato uno dei tanti appelli dei migranti che vengono ripetutamente respinti alla corte di Gheddafi. Tutti i migranti che hanno assaggiato le galere libiche sanno quanto è meglio la morte. Ma nessuna inchiesta contro queste stragi di massa si è mai aperta. Anzi, l’Italia finanzia, collabora e costruisce tre centri di detenzione in Libia, il tutto per non sporcarci le mani in prima persona. Il primo centro è stato costruito nel 2003, gli altri due, che si trovano nei pressi di Cufra ed a Sebha, sono stati stanziati nella finanziaria del 2004 – 2005. Tutti e tre sono nascosti, si trovano nel bel mezzo del deserto dove la polizia può violentare psicologicamente e fisicamente il migrante e, se quest’ultimo vuole fuggire, basta pagare una quota ai carcerieri.

“Abd el Magid sa che molti sono stati arrestati poco prima di partire e detenuti per mesi o per anni nelle carceri libiche, accusati di emigrazione clandestina senza che le famiglie avessero più loro notizie” lo racconta Gabriele Del Grande nel suo libro “Mamadou va a morire”. Il giornalista ha seguito per tre mesi le rotte lungo tutto il mediterraneo ed ha visto e sentito in prima persona ciò che succede in Libia. Dal 2003, quando l’Italia siglò gli accordi con la Libia per contrastare l’immigrazione “clandestina” ed oltre a finanziare i centri di detenzione fornì a Gheddafi sacchi da morto, soldi e motovedette, da allora, la violenza per i migranti non ha fine. All’interno dei centri la sporcizia fa da padrona, scabbia e infezioni sono il minimo che ci si possa prendere.

In tutto sono stati individuati 28 centri di detenzione in Libia e sono in maggior parte di tre tipi: i centri di raccolta dove vengono concentrati i migranti arrestati durante le retate, strutture più piccole dove rimangono per un breve periodo e poi ci sono le prigioni comuni a tutti dove sono ammassati i migranti.

“Abbiamo chiesto ai militari italiani l’intenzione di fare richiesta d’asilo e li abbiamo pregati di non consegnarci ai libici perché temiamo di finire in carcere, ma non hanno voluto sentire ragioni” è quello che ha riferito un immigrato a telefono con un giornalista della BBC. Sempre secondo questa fonte l’ultimo respingimento è avvenuto con violenza da parte della guardia di Finanza.

E’ davvero assurdo che, mentre morivano in mezzo al mar mediterraneo 73 migranti, in terra italiana, si sentiva parlare soltanto di giustificazione, per la situazione “imbarazzante” in cui si trovava il governo, invece di esprimere dolore collettivo per tutti i migranti morti a causa della negligenza di qualcuno. Hanno addirittura accusato i sopravvissuti, stremati e moribondi di mentire nel raccontare l’accaduto. Adesso che piano piano i cadaveri iniziano ad essere identificati tutto conferma la versione dei fatti e nessuno cerca più una giustificazione ma ci si chiude nel silenzio tombale e si spera che il tutto finisca nel dimenticatoio. Ma qualcuno non resta in silenzio ed è l’ASGI (associazione studi giuridici sull’immigrazione) e l’Ue che chiedono una verifica dei fatti nonostante qualcuno voglia seppellire l’accaduto.

Nel nostro paese tutto tace. Tra scandali nei party, litigi tra editori di giornali e gossip, la gente continua a morire nel mar mediterraneo nell’indifferenza di un paese addormentato. Mi chiedo: come è possibile che nessun telegiornale, nessun giornale italiano e straniero documenti effettivamente tutti i respingimenti fatti dal governo? Nessuno sa dove sono andati gli ultimi migranti respinti, oltrepassata la zona di frontiera le telecamere italiane come d’incanto si spengono.

Si sente in continuazione soltanto la voce del ministro Maroni che senza avere dubbi vuole continuare i respingimenti: “Il sistema di respingimento funziona e noi continueremo con questa procedura per garantire non solo l’Italia ma anche l’Unione Europea”. Ma noi abbiamo bisogno della sicurezza come il migrante, entrambi ne abbiamo bisogno ma questa sicurezza fatta di case, lavoro, rispetto reciproco e solidarietà non si vede nel nostro paese. Il ministro parla anche dei Cie italiani dicendo che: “Nei Centri di identificazione ed espulsione non c’é alcuna emergenza.”

Non può nascondere la violenza fisica e morale che subiscono i migranti anche nei centri di detenzione italiani. “Ci sono giorni che non ci possiamo alzare dal letto, ci danno la terapia per calmarci ma non devi parlare, basta che stai sempre zitto” tutto ciò mi è stato raccontato da un migrante contattato telefonicamente. Il recluso era abbattuto, gli dissi che presto sarebbe uscito, ma lui mi urlò come per disperazione:”ci trattano male e ci prendono in giro. Fanno sorrisi falsi, ci trattano come animali come degli schiavi”.

Un’altra testimonianza, per smentire Maroni, è stata un’intervista telefonica fatta da “Macerie” ad un migrante recluso nel Cie di Ponte Galeria (Roma). “Quando sono entrato qui mi hanno detto che dovevo stare tranquillo, che qui ero libero.Ho visto la Croce Rossa e mi sono detto: “meno male, almeno non vedo la polizia intorno. Invece mi sono sbagliato tanto, mi sono sbagliato tanto a pensare così…” dice il migrante a telefono. Si è trovato davanti lunghe sbarre, “avete presente gli zoo, come sono divisi gli animali? Una gabbia sono negri, una gabbia sono arabi, una gabbia sono del Bangladesh, una gabbia sono indiani, una gabbia sono europei…qui non è come fosse Guantanamo: è Guantanamo!” Si è subito reso conto che non andava a trovare la libertà ma la reclusione più assurda e razzista, non andava incontro all’esistenza (”ci danno il vitto solo per tenerci in vita”) ma alla crudeltà.

La vita per un migrante, che deve attendere lo status di rifugiato o che gli viene negato, è davvero difficile anche se vive “liberamente” nel territorio italiano. E’ il caso di Roger che, dopo il diniego, ora attende da quattro anni il ricorso. Vede la sua vita senza alcun futuro, è sospesa: “Ho passato 4 anni di merda quì in Italia. Vivo in una cantina e quando piove il letto si bagna, il pavimento si bagna. Io non riseco a dormire, sto male fisicamente e moralmente. Pago 130 euro al mese l’affitto. Lavoro in nero, prendo qualche spicciolo e aspetto un permesso di soggiorno che non arriva mai…”

Non è affatto una bella cosa che i cieli di Tripoli si sono tinti di verde bianco e Rosso dato che non c’è nulla da festeggiare…

Onori Andrea

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